La vita di Andrea Camilleri, a cura di Simona Demontis
La formazione, il periodo siciliano e le figure di riferimento
Andrea Camilleri è nato il 6 settembre 1925 a Porto Empedocle, la “marina” di Agrigento, sulla costa sudoccidentale della Sicilia; la città è poco distante dalla contrada Kaos che ha visto i natali di Luigi Pirandello (1867), cugino della nonna paterna Carolina; lo scrittore è morto a Roma, stessa città della scomparsa dell’illustre parente (1936), il 17 luglio 2019. Andrea Calogero è l’unico sopravvissuto dei tre figli di Giuseppe (Peppino) Camilleri, fascista della prima ora e ispettore del lavoro portuale nel periodo in cui Porto Empedocle era «la seconda marineria d’Italia per ordine d’importanza»; la religiosa madre Carmela Fragapane gli impone come secondo nome Calogero, santo celebrato nel giorno della nascita e veneratissimo co-patrono di Girgenti. Lo scrittore, pur essendo esplicitamente ateo – è sepolto nel Cimitero Acattolico del quartiere Testaccio di Roma –, ha conservato, se non devozione, sempre grande rispetto per il santo nero e tradizionalmente vendicativo, evidente dallo spazio riservato nel suo studio ad alcune statuine in suo onore.
La famiglia, un tempo agiata, si ridimensiona economicamente, pur rimanendo benestante, così da poter mantenere il ragazzo agli studi. Nato prematuro, di costituzione gracile, il piccolo Nenè cresce con un temperamento ribelle che si manifesta nella mancanza di senso gerarchico e nella difficoltà a non contrapporsi all’autorità, se palesemente ingiusta, comportamento che in piena dittatura fascista gli crea qualche problema di disciplina. In seconda ginnasio marina la scuola per un intero trimestre e falsifica la pagella: la famiglia per imporgli delle regole lo invia a malincuore in un collegio religioso, da cui cerca di scappare senza successo. Insofferente del rigido regolamento, in seguito compie una serie di atti di insubordinazione col proposito di farsi espellere e ci riesce a causa di un atto sacrilego che poi lo tormentò a lungo. Nel 1942, durante una manifestazione culturale a Firenze, a causa del suo insorgente spirito antitedesco, entra in conflitto col ministro Pavolini; nel 1943, rischia di essere cacciato dal PNF ed evita l’espulsione dal partito grazie a un atto di coraggio durante un allarme antiaereo.
Avendo a disposizione le fornite biblioteche del padre e dello «zz’Arfredu», manifesta precocemente la passione per la lettura, che lo porta ad affrontare non tanto i classici per l’infanzia, quanto libri di avventure, i romanzi polizieschi (soprattutto Simenon) e le riviste teatrali. In particolare sono le storie di ambiente marinaro ad attirare le sue attenzioni: dai sei anni in poi legge La follia di Almayer, di Conrad e Moby Dick; negli anni a venire le opere di Stevenson, London e Kipling. Una narrativa che alimentava l’altra sua grande passione, quella per il mare e il sogno adolescenziale di diventare ufficiale di marina, naufragato dopo un incidente a un occhio. Dall’età di dodici-tredici anni ha navigato di frequente in pescherecci e ha frequentato dei corsi, nei quali ha imparato a fare segnalazioni con le bandierine e a utilizzare un simulatore dell’alfabeto Morse – uno strumento che ha avuto un posto d’onore nel suo studio –, conservando una grande competenza teorica e la capacità di fare lunghe immersioni in apnea.
Camilleri subisce l’inquadramento scolastico del ventennio della dittatura, che si basava sul culto del duce e della Patria; è noto che a dieci anni avesse inviato una lettera a Mussolini, offrendosi volontario per la guerra in Abissinia. Negli anni successivi la fede nel duce comincia, però, a vacillare, a partire dall’imposizione delle leggi razziali del 1938 e dell’entrata in guerra nel 1940, disapprovate persino agli occhi del padre che, avendo partecipato alla Marcia su Roma, era rimasto fedele agli iniziali contenuti rivoluzionari del fascismo e interpretava tali iniziative come un atto di subordinazione dell’Italia alla Germania. Nel periodo del liceo, allo scopo di sottrarsi alle esercitazioni ginniche obbligatorie del sabato fascista, per pigrizia più che per dissenso ideologico, fonda con altri compagni – tra cui Gaspare Giudice, che diventerà tra i massimi biografi di Pirandello – una rivista politico-letteraria di otto pagine, «L’asino»: i sei numeri del periodico, stampati su carta scadente e distribuiti nelle scuole superiori di Agrigento, costituiscono le prime fondanti esperienze di Camilleri nell’ambito del giornalismo.
La lenta e definitiva trasformazione delle sue idee politiche è determinata dalle letture copiose e diversificate, fra cui nel 1943 è senz’altro dirimente quella de La condizione umana, di Malraux: tale presa di coscienza contrassegna l’inizio di quell’impegno civile che è una delle cifre interpretative dell’intera opera camilleriana.
La forma dell’acqua, pagina manoscritta
La posizione strategica di Porto Empedocle nel Canale di Sicilia determina una serie di insistenti e martellanti bombardamenti sulla zona, che infatti è stata teatro dello sbarco degli angloamericani, avvenuta fra Licata e Gela nel luglio del 1943. Nel territorio occupato dagli alleati, fino alla linea Gustav, la guerra è finita: fino ad allora, come tutti, Camilleri vive l’esperienza della guerra fra il rumore stridulo delle sirene dell’allarme, le corse ai rifugi antiaerei, le devastazioni dei luoghi natali. Come molti, con lo sfollamento della famiglia in un paese dell’interno, Serradifalco (dove può accedere a un’altra biblioteca piuttosto fornita), conosce poi lo sradicamento dalle proprie abitudini e dalla propria casa, unito all’angoscia dell’incerto destino del padre, rimasto per lavoro a Porto Empedocle. A causa di queste concitate fasi della seconda guerra mondiale, Camilleri ottiene il diploma dopo un semplice scrutinio senza sostenere l’esame di maturità, sospeso per l’emergenza; ancora diciassettenne, nel mese di luglio viene richiamato per il servizio militare in Marina ma, in ragione dello sbarco alleato, può disertare pochi giorni dopo, senza subire conseguenze.
Del periodo della guerra e dell’immediato dopoguerra, conserverà molti ricordi, riferiti anche ad alcuni sorprendenti e fortuiti incontri, raccontati più volte nei libri di memorie o nel corso di interviste: per esempio col generale Patton, ammirevole come soldato, ma cosa fitusa come uomo; con Robert Capa, in grado di usare la macchina fotografica con la velocità di una mitragliatrice, ma in imbarazzo di fronte alla maestosità del Tempio della Concordia di Agrigento; col jazzista Nick La Rocca, già ritiratosi dalle scene, ma disponibile a una jam session improvvisata in un concerto effettuato a Palermo, quasi di nascosto, in barba alle direttive dei gerarchi; con lo scrittore siculo-americano Jerre Mangione, l’unico con cui, dal 1947, ha intrattenuto una corrispondenza epistolare.
Nel periodo siciliano alcune persone hanno avuto un’influenza estremamente significativa nella formazione della personalità di Camilleri e per il suo mestiere di narratore, a cominciare dal padre: la sua rigorosa dirittura morale, l’onestà intellettuale e certi suoi atteggiamenti umbratili sono inconsciamente riprodotti nel carattere del commissario Montalbano. Dopo gli scontri giovanili a causa delle opposte idee politiche, lo scrittore si riconcilia con la figura paterna e gli dedica alcune pagine orgogliose e commoventi, in cui ne illustra il coraggio e la rettitudine.
Anche alcuni docenti del liceo hanno condizionato il retroterra culturale del giovane, inculcando il mai sopito amore per la cultura classica, in particolare il professore di Lettere, l’antifascista Cassesa. Tra i suoi principali insegnamenti, Camilleri ricorda il rimprovero che gli fece circa un suo articolo su «L’asino», in cui alludeva alle scarse capacità della figlia del federale di giocare a pallacanestro: «ti voglio dire una cosa davanti a tutti; non m’è piaciuto il tuo articolo sulla figlia del federale. Non per quello che hai scritto, ma perché parli della figlia del federale; è gente che va ignorata. Devono sparire nel silenzio». Un’autentica lezione di vita.
Sono soprattutto altre due persone, tuttavia, ad avere un particolare ascendente nei suoi confronti, entrambe a proposito dell’oralità; una è la nonna materna Elvira, che gli fa fare la conoscenza col fantastico mondo di Alice nel Paese delle meraviglie, ma che soprattutto, intavolando conversazioni con gli oggetti e gli animali e raccontando storie inventate estemporaneamente, lo ha indotto a stimolare la creatività. L’altra è Minicu, il contadino della “casina” di campagna dei nonni Fragapane, dotato di una straordinaria capacità affabulatoria e depositario di un’autentica miniera di racconti di natura favolosa, spacciati come miti antichi, ma palesemente frutto della sua inesauribile fantasia, che hanno offerto a Camilleri numerosi spunti narrativi.
Il trasferimento a Roma, la carriera nel teatro e nella televisione e gli esordi come narratore e saggista
Dopo gli studi classici, Camilleri si iscrive alla facoltà di Lettere all’Università di Palermo, pur senza conseguire mai la laurea (a partire dal 2002 gliene sono state conferite numerose ad honorem). Le prime attività di ambito poetico e teatrale gli fruttano premi e pubblicazioni che lo introducono nel mondo letterario, in cui si fa conoscere e apprezzare. Il critico Silvio D’Amico gli suggerisce quindi di presentarsi alle selezioni dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma: è l’unico candidato ammesso alla frequenza del corso di regia di Orazio Costa e si trasferisce nella Capitale nel 1949. Non la lascerà più: nonostante nel 1950, a causa di un episodio di carattere disciplinare viene messo nelle condizioni di non continuare il corso di studi, la sua rete di conoscenze gli consente di continuare a lavorare all’interno del mondo culturale romano, fino alle prime esperienze di regia teatrale e all’ingresso alla RAI Radiotelevisione Italiana – che in precedenza gli era stato negato in quanto comunista –, in cui svolge diversi incarichi (regia, delegato di produzione, ecc.): negli anni ’60 del ‘900 Camilleri è un affermato uomo di spettacolo, sposato con Rosetta Dello Siesto (che dal 1957 gli sarà accanto fino alla fine) e padre di tre figlie.
Nonostante gli esiti positivi del suo lavoro in ambito teatrale e televisivo, dopo aver studiato e rielaborato innumerevoli testi di autori italiani e stranieri, Camilleri sente il bisogno di esprimere qualcosa di suo, di far sentire la sua voce: «La voglia di narrare una storia mia con parole mie». Tra il 1967 e il 1968 concepisce, così, il primo romanzo, Il corso delle cose, una storia drammatica, ambientata nell’omertosa e mafiosa Sicilia coeva, che cerca inutilmente di pubblicare per dieci anni. La scrittura scaturisce nel doloroso periodo della malattia e della morte del padre e presenta già in nuce il caratteristico linguaggio meticciato, denominato in seguito vigatese, ma allora improponibile; anche se lontano dagli sperimentalismi più recenti, la peculiarità dell’idioletto è essenzialmente il principale motivo di diniego da parte degli editori dell’epoca. Dalla vicenda Camilleri trae la sceneggiatura per un teleromanzo in tre puntate, La mano sugli occhi, trasmesso dalla RAI nel 1978: in relazione a ciò, il libro viene stampato, senza alcun esito letterario ed economico, da un editore a pagamento (Lalli di Poggibonsi), che chiede in cambio visibilità nell’emissione televisiva. Il volume viene rieditato da Sellerio nella versione originariamente pensata dall’autore solo nel 1998.
Successivamente Camilleri ha affermato più volte di non conservare bozze o correzioni dei suoi romanzi: Il corso delle cose costituisce a lungo l’unico caso in cui eccezionalmente si possa disporre di due differenti versioni dello stesso libro, fino alla pubblicazione di Riccardino, l’ultimo volume della serie di Montalbano, uscito postumo nel luglio del 2020. Scritto nel 2005 e rivisto linguisticamente nel 2016 è stato pubblicato nella doppia versione su precisa volontà dello scrittore, per dare modo agli studiosi – e al lettore comune – di verificare l’evoluzione del suo linguaggio. Il primo libro e l’ultimo libro: la chiusura di un cerchio.
Confortato dalla concretizzazione del suo lavoro di narratore, nel 1980 si cimenta con la redazione e la pubblicazione, stavolta col prestigioso editore Garzanti di Milano, del secondo romanzo, Un filo di fumo, che si svolge nella Sicilia postunitaria e offre a Camilleri la possibilità di esprimere sarcasticamente le proprie convinzioni sulla formazione dell’Unità d’Italia e le sue talvolta nefaste conseguenze. Davanti alle rinnovate perplessità di Livio Garzanti sul suo linguaggio, Camilleri scende a compromessi e inserisce in appendice un glossario, a beneficio dei lettori.
In seguito, Leonardo Sciascia, per cui Camilleri ha nutrito sincera ammirazione e con cui ha avuto un rapporto di saldo rapporto di amicizia, anche se non intima, lo presenta a Elvira Sellerio: da quell’incontro inizia una collaborazione, inizialmente sporadica con la casa editrice palermitana – che poi diventerà il suo editore di elezione – che gli pubblica due brevi saggi a sfondo storico (La strage dimenticata, 1984 e La bolla di componenda, 1993) e un terzo romanzo, La stagione della caccia (1992), sempre di ambientazione tardo ottocentesca. La svolta narrativa avviene a metà degli anni ’90, dopo il definitivo addio di Camilleri al teatro e agli impegni televisivi in RAI.
La complessità dell’opera di Camilleri
Nel 1994 Camilleri pubblica con Sellerio La forma dell’acqua, in cui è protagonista il commissario Montalbano, con eccezionali esiti di vendita grazie al passaparola tra il pubblico. Scontento della raffigurazione del personaggio, una mera funzione narrativa, scrive un secondo episodio, Il cane di terracotta (1996) che, nelle intenzioni dell’autore, doveva essere conclusivo, allo scopo di affinare la figura del poliziotto. Visto il grande successo commerciale Elvira Sellerio, a cui ormai è legato da profondo affetto, lo convince invece a continuare la serie: «il primo Montalbano è scritto per disciplina, il secondo per insoddisfazione e il terzo per soldi», ha dichiarato senza infingimenti. La fama, in seguito viene non poco amplificata dalle traduzioni in lingua straniera (a partire dal 1998) e soprattutto dalle riduzioni televisive (dal 1999), trasmesse anche in diversi Paesi oltre confine; una certa parte della critica, quindi – adusa a identificare il successo commerciale con lo scarso valore letterario – ha cominciato a snobbarlo, confinandolo fra gli scrittori di genere e di facile intrattenimento. Lo scrittore ha polemizzato numerose volte al riguardo, inserendo allusioni nei suoi romanzi ed esprimendo le sue convinzioni in interviste e dibattiti, spendendosi in Difesa di un colore e dissentendo con la critica più paludata, auspicando l’abbattimento dello steccato tra letteratura e paraletteratura.
Camilleri parla di “disciplina” perché si era reso conto che il suo metodo di composizione dei romanzi fino a quel momento era stato «anarchico, disordinato», in particolare riguardo a Il birraio di Preston (uscito poi nel 1995), il romanzo di ambientazione storica considerato da gran parte della critica – e anche a mio modesto giudizio – uno dei suoi capolavori. La costruzione di un “giallo”, impone invece, appunto, il rispetto ferreo di regole inderogabili, con le quali Camilleri decide di cimentarsi.
Tradizionalmente, l’opera di Camilleri viene distinta in due grandi filoni: la serie del commissario Montalbano e il gruppo dei romanzi cosiddetti storico-civili. Tale ripartizione – relativa anche alla pubblicazione, nel 2002, nel 2004 e nel 2022, di tre raccolte di alcuni suoi romanzi nella prestigiosa collana de «I Meridiani» della Mondadori, che lo hanno consacrato come autore “classico” – è da considerarsi ormai obsoleta. È stata di recente messa in discussione, infatti, da Giuseppe Marci, già docente di Filologia Italiana all’Università di Cagliari, uno tra i primi e più lucidi critici di Camilleri, che a più riprese ha rivendicato il carattere civile dell’opera camilleriana nella sua globalità, sostenendo con argomentazioni più che condivisibili che anche dietro l’apparente patina del “giallo” lo scrittore abbia raccontato venticinque anni della Storia d’Italia, in maniera non dissimile dai romanzi ambientati nel passato.
Nel 2023, l’intera opera di Camilleri si compone di oltre centodieci libri a cui si deve aggiungere una lunga serie di racconti sparsi, nonché di interventi di varia natura e scritti d‘occasione: è quindi evidente la sua complessità, nonché la varietà di temi, trattati con una molteplicità di tipologie di racconto, tanto da comportare una serie di problematiche circa la sua classificazione. Di seguito una suddivisione semplificata:
- una buona parte della produzione (circa un terzo) è costituita dalla serie di Montalbano, che sicuramente gli ha dato la fama presso il grande pubblico; è composta da ventotto romanzi, più uno scritto a quattro mani con Carlo Lucarelli; sei raccolte di racconti (ivi compreso un volume con protagonista il commissario da giovane) e diversi altri racconti pubblicati in volumi collettanei o in riviste;
- un altro congruo gruppo (circa un altro terzo del totale) comprende romanzi e racconti di argomento vario, perlopiù raggruppati in volume, ambientati nel passato, principalmente nella prima metà del XX secolo; diversi si sviluppano nel tardo ‘800, alcuni nel XVII secolo, altri anche in epoche precedenti;
- l’attività letteraria consta anche di un certo numero di romanzi, perlopiù d’indagine a sfondo poliziesco, che si svolgono in epoca contemporanea, ivi compresa la produzione non in vigatese; sono da annoverare anche diversi racconti di vario argomento, talvolta compresi in raccolte, talaltra inseriti in volumi di autori vari o pubblicati in ordine sparso;
- un’ulteriore parte delle pubblicazioni, infine, riguarda volumi di argomento non strettamente letterario: alcuni sono libri di memorie (anche se il confine fra ricordo e racconto è spesso piuttosto labile); altri raccolgono la sua attività teatrale; taluni sono di carattere meramente saggistico, specie interventi in tema politico-sociale (in cui spiccano i testi stampati su «MicroMega»), in alcuni casi sotto forma di intervista. In tutta la produzione, letteraria o meno, risulta evidente la passione civile che ha connotato tutta la vita e l’opera di uno «scrittore italiano nato in Sicilia», come fieramente si era autodefinito.
Bibliografia tematica sull’opera di Andrea Camilleri, a cura di Simona Demontis, in Quaderni Camilleriani. Numero speciale 2021, Università degli studi di Cagliari, 2021